CASTROREGIO
Del paese si hanno notizie già nel 1015, ma, nei secoli successivi, dovette spopolarsi se è vero che perse ogni importanza. Riemerse alla ribalta della storia nel 1517 quando un gruppo di Albanesi si fermò in località Cerviola dando vita ad un villaggio che battezzarono Xorza, che significa piccola città. Dopo meno di vent’anni altri profughi provenienti da Corone, tra cui la maggior parte portavano il cognome Camodeca, riuscirono a edificare il paese più a monte in località detta San Pietro delle Noci.
Nella chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria ad Nives ed eretta nel sec. XVII a cura di maestranze locali, sono custodite delle statue processionali. Camminando lungo lo Straface nei pressi in cui vi affluisce il torrente Romito c’è l’omonima grotta, famosa non per gli stessi motivi di quella di Papasidero, ma perché in questa caverna dall’aspetto davvero tetro, si era raccolto a fare penitenza un frate che aveva stuprato una ragazza sul Monte Piccato (o Impiccato), tra Castroregio e Oriolo. In seguito all'insensato gesto, costui aveva visto un fantasma vestito di bianco il quale per fargli espiare la sua colpa, lo aveva obbligato ad una vita di eremitaggio, pena la morte. In località Cerviola e Casaletto, lungo lo Straface, sorgeva, nel XIII secolo, un piccolo casale che aveva, addirittura, diritto d’asilo.
Nella chiesa c'era una sola tomba che si credeva contenesse un serpente con sette teste che poteva uscire da un momento all’altro. Gli Albanesi per augurare del male a qualcuno dicono: "Ti possa mordere il serpente di Casaletto".
Vestito: "La vedova si rivolta la gonna. Nei lutti ordinarii si mette un nastro nero alla fronte. Il vedovo, al contrario, porta per un anno un nastro nero alla bocca, e se lo leva quando mangia".
Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza
http://www.calabria.org.uk/province/cosenza/cosenza.htm/cosenzastoria/comuni/castroregio/castroregio.htm
La denominazione di Castroregio, pertanto, non pare derivare dagli albanesi bensì dal preesistente kastron regio utilizzato dall’imperatore svevo; è tuttavia verosimile che il paese rimase spopolato per lungo tempo e rivitalizzato con l’arrivo degli albanesi, sorte che toccò anche ad altri comuni come Civita, San Benedetto Ullano, Acquaformosa ecc. Dal 1440 in poi il territorio di Oriolo, infatti, di cui faceva parte anche Castroregio, cessò di avere giurisdizione regia e passò sotto la famiglia dei Sanseverino.Sul finire del Quattrocento, mentre in Italia scoppia la rivolta dei baroni, il comandante Skandeberg con i suoi profughi albanesi, sbarca in Italia insediandosi in innumerevoli luoghi tra cui l’Itali a meridionale. Da un documento rinvenuto nell’Archivio parrocchiale di Castroregio pare che l’insediamento risalga al 1515 per interessamento di Giovanni Lopez de’ Vergara (sebbene esista un’ipotesi che l’anticipi al 1478). Durante la lotta tra francesi e spagnoli e quando questi si ritirarono verso sud per organizzare la difesa, posero il campo nelle vicinanze di Castroregio laddove ancora oggi esiste una località definita "Timpone dello Spagnolo". Con la vittoria dei francesi il paese subì le stesse sorti di Oriolo, Canna, Amendolara e Roseto e fu raso al suolo per poi passare alla famiglia Sanseverino del ramo salernitano.
Intorno al 1534 alcune famiglie tra cui i Lazzaro, i Camodeca ecc. si unirono alle preesistenti ricostruendo quasi completamente il borgo di Castroregio con la chiesa matrice, esistente già nel 1552. Altre importanti vicende storiche sono legate al principato Pignone del Carretto, alla rivolta di Masaniello del 1647, alla tragica pestilenza del 1657, all’invasione di cavallette del 1661 ecc.
Fu soltanto dopo l’Unità d’Italia che Castroregio uscì dall’isolamento in cui l’avevano costretto le famiglie al potere e fu nel 1880 che fu progettata la strada di collegamento tra il paese e Amendolara.
Il centro storico di Castroregio, piccolo borgo connotato da un’architettura suggestiva in pietra, palazzi gentilizi e chiese bizantine offre al visitatore una meravigliosa vista panoramica fino al Golfo di Taranto
e un ingente patrimonio storico-artistico nel quale si annovera la chiesa matrice di Santa Maria ad Nives. Essa fu edificata da maestranze locali nel XVII secolo e presenta un portale ad arco in stile bizantino e una torre campanaria sulla quale campeggia il rosone. L’interno presenta consistenti rifacimenti novecenteschi ma conserva alcuni elementi dell’antica tradizione bizantina (ad esempio l’iconostasi) mentre il programma iconografico comprende la rappresentazione della Natività, della Crocifissione, della Resurrezione, l’Ultima Cena (opere di Attilio Vaccaro) e statue preziose quali la Madonna della Neve con il Bambino, la Madonna del Rosario ecc.
Completano il patrimonio storico-artistico la chiesa di San Rocco, fortemente voluta da una nobildonna locale, i palazzi Di Lazzaro-Camodeca, palazzo D’Agostino ecc.